lunedì 12 dicembre 2011

CAP 1

1-ENGLISH, FIRST GLOBAL LANGUAGE

Latino e francese, in epoche e contesti diversi, sono state LINGUE INTERNAZIONALI: questo ruolo è assolto oggi dall’inglese. Una lingua internazionale è una lingua che viene usata per mettere chi parla in condizione di comunicare le proprie idee e la propria cultura servendosi di quella lingua (Brutt-Griffler, 2002) e, dunque, funge da “ponte” nella comunicazione tra individui e comunità con lingue materne differenti che, altrimenti, non potrebbero comprendersi. In questo senso una lingua internazionale è una LINGUA FRANCA (“a language that serves as a medium for people who do not use it natively”). Una lingua internazionale si denazionalizza e deculturizza, cioè perde i riferimenti alla nazione o ai popoli da cui viene parlata come nativa (Lam, 2002), diventando uno strumento di comunicazione inter- e sopranazionale privo di un background socioculturale di chi lo utilizza (Santipolo, 2002).
L’inglese, a differenza del francese e del latino che erano lingue elitarie, svolge un ruolo di democratizzazione, ossia si diffonde negli strati della popolazione socialmente ed economicamente meno elevati a cui, un tempo, la comunicazione internazionale era preclusa.
Secondo Crystal (1997) i principali canali che oggi favoriscono la diffusione e il mantenimento dell’inglese come lingua internazionale sono: i media (stampa, radio, tv, cinema, musica, Internet), i viaggi internazionali, la sicurezza internazionale (ad esempio l’Airspeak, la lingua ufficiale del traffico aereo), l’istruzione, la ricerca scientifica e la politica internazionale.
La prima delle alleanze internazionali moderne che attribuì all’inglese un ruolo speciale nelle sue procedure fu la Società delle Nazioni: inglese e francese erano le due lingue ufficiali e i documenti erano redatti in entrambe.
L’inglese è emerso come lingua mondiale negli anni Novanta, e ciò significa che è stato adottato in molti paesi del mondo in cui non rappresenta la lingua madre: lingua ufficiale di comunicazione e, quindi, seconda lingua, (Nigeria, India, Singapore, Puerto Rico, Pakistan, Malta, Emirati Arabi) o lingua prioritaria nell’insegnamento delle lingue straniere di un paese.
David Graddol ha stimato che l’inglese, come madrelingua, seconda lingua o lingua straniera, sia parlato da un miliardo e 400 milioni di persone, dunque circa un quarto della popolazione mondiale: nessun’altra lingua viene usata in modo così esteso, né sul piano quantitativo né su quello geografico, superando persino il cinese.

Questa espansione ha avuto luogo ad una velocità impressionante a partire dagli anni Cinquanta, in quanto vi era la necessità di un idioma comune, di una lingua franca, ad esempio nella comunicazione politica internazionale e negli incontri d’affari.
L’inglese è usato per comunicare nelle più disparate situazioni: quotidiane, ufficiali, professionali o scientifiche.


L’inglese è lingua ufficiale e prima lingua (Native Language) in:
  • Regno Unito;
  • Repubblica d’Irlanda;
  • Stati Uniti;
  • Canada (tranne il Quebec);
  • Australia;
  • Nuova Zelanda.

L’inglese è lingua ufficiale (sola o con altre lingue) e spesso seconda lingua in:
  • Europa: Gibilterra, Malta, Gozo;
  • Africa: Africa del Sud, Botswana, Gambia, Ghana, Kenya, Lesotho, Liberia, Malawi, Namibia, Nigeria, Uganda, Sierra Leone, Swaziland, Tanzania, Zambia, Zimbabwe;
  • Mar delle Antille: Antigua e Barbuda, Barbados, Belize, Dominica, Grenada, Giamaica, Saint Christopher e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Trinidad e Tobago, Anguilla, Isole Vergini, Isole Cayman, Montserrat, Turks e Caicos;
  • Oceano Atlantico: Bahamas, Guyana, Bermuda, Sant’Elena, Isole Falkland;
  • Oceano Indiano: Maldive, Isole Mauritius, Seychelles;
  • Asia: Sri Lanka (Ceylon), India, Malaysia, Pakistan, Myanmar (Birmania), Singapore, Hong-Kong, Filippine;
  • Oceania: Figi e Pitcairn, Kiribati, Nauru, Nuova Guinea, Vanuatu, Salomone.

L’inglese è lingua veicolare o lingua della scuola ad esempio in:
  • Asia: Bangladesh, Brunei, Thailandia;
  • Africa: Israele, Sudan, Egitto.

Una lingua diventa lingua mondiale per una ragione soltanto: il potere del popolo che la parla. La crescita dell’inglese è stata condizionata, in tempi diversi, dal potere politico e militare (Colonialismo dal Cinquecento), dal potere tecnologico (Rivoluzione Industriale del Sette-Ottocento), dal potere economico (nell’ Ottocento Londra e New York diventano capitali della finanza mondiale: si parla di “imperialismo economico”) e dal potere culturale (nel Novecento esso si è manifestato attraverso sfere di influenza inglesi e americane: stampa, pubblicità, programmi radio, cinema, musica e Internet sono in inglese).
Dato che lo status linguistico è connesso a queste variabili, vi è, però, la possibilità che l’inglese come lingua mondiale verrà in futuro sostituito da altre lingue, come è successo in passato con il latino, anche se le comunicazioni planetarie e la mobilità, oggigiorno, impediscono il verificarsi di una frattura nel mondo anglofono simile a quella avvenuta per il latino e contribuiscono al mantenimento dell’unità linguistica nonostante l’esistenza di diverse varietà di inglese.
Secondo il modello espansionistico di Rudolph Quirk (1985) i motivi che hanno contribuito alla diffusione mondiale dell’inglese sono: l’espansione coloniale (con conseguente controllo politico sulle popolazioni colonizzate, soprattutto in Asia e Africa nel 1800 e 1900), l’espansione demografica (migrazioni e insediamenti di parlanti nativi della Gran Bretagna, soprattutto in America e Australia) e l’espansione economico-culturale (soprattutto a opera degli Stati Uniti).

Come spiega Brutt-Griffler (2002) i primi due tipi di espansione implicano una migrazione di parlanti nativi: l’inglese sostituisce, quindi, la lingua nativa e diventa la Native Language.
Nell’espansione economica-culturale, invece, si parla di macroacquisizione, cioè di un apprendimento su larga scala da parte della popolazione locale: in questi casi l’inglese dà origine ad un New English, cioè ad una varietà indigenizzata di inglese (ad esempio in India), oppure si sviluppa una situazione di bilinguismo o plurilinguismo in cui l’inglese è una Foreign Language usata solo per le comunicazioni internazionali (ad esempio in Cina).

La lingua inglese muta continuamente: nel mondo, per esprimere nuove identità, si sviluppano forme nuove, nuove varietà denominate “NEW ENGLISHES”, nate dalla mescolanza dell’inglese e degli idiomi locali: tutte le lingue in contatto, infatti, si influenzano reciprocamente.
Questo processo potrebbe, a lungo andare, creare varietà d’inglese talmente distanti tra loro da non essere più reciprocamente intelligibili.
Nei New Englishes si mescolano parti in inglese e nell’altra lingua di contatto: ad esempio in una frase in inglese si usa un certo enunciato della madrelingua perché ritenuto più adatto per esprimersi, oppure, al contrario, si parte con la lingua madre e si passa poi all’inglese, specialmente quando si affrontano argomenti che si è imparato solo in questa lingua. Alle lingue di questo tipo si fa riferimento utilizzando nomi composti (franglais, japlish, spanglish).
Quando le persone iniziano a fare affidamento su due o più lingue si parla di CODE-SWITCHING (commutazione di codice) che è tipico del BILINGUISMO.

È, dunque, del tutto sbagliato pensare che il futuro del World English consista semplicemente nell’ampliamento d’uso dell’inglese britannico o americano, perché essi verranno integrati da altre varietà, così come, ad esempio, l’ inglese americano è nato dalla mescolanza tra inglese e lingue amerinde. La variazione è un processo intrinseco delle lingue, in quanto in continua evoluzione e soggette a cambiamenti.

Braj Kachru (1985) si serve di tre cerchi concentrici per spiegare la diffusione dell’inglese:
  • nel cerchio interno vi sono quegli Stati in cui l’inglese è la Native Language e ha uno status di ufficialità;
  • nel cerchio intermedio vi sono quei paesi in cui si sono verificate le prime fasi di espansione coloniale della lingua e in cui l’inglese è l’unico o uno dei due o più codici del repertorio linguistico e ha acquisito uno status importante nella politica linguistica locale (ad esempio in Nigeria è la lingua ufficiale, in Zambia è una delle lingue di Stato).
    In questi contesti l’inglese viene usato in ambiti culturali non originariamente inglesi e ha sviluppato tradizioni letterarie “nativizzate”.
    In questo cerchio rientrano quei paesi in cui la colonizzazione non si è evoluta in un insediamento permanente e, quindi, non ha sopraffatto completamente le lingue e le culture precedenti.

  • nel cerchio più esterno, il cerchio in espansione, vi sono quei paesi in cui la lingua ufficiale non è l’inglese, ma nei quali esso viene studiato come lingua straniera riconoscendone l’importanza e la necessità.

Le differenze tra le varietà dell’inglese sono dovute a:
  • diversa pronuncia: si parla di diversi accenti.
  • diverse situazioni sociali: si parla di stili (variazione diafasica: dipende dal cambiamento del contesto situazionale, dai partecipanti all’evento comunicativo e dalla funzione del messaggio).
  • differenze lessicali e grammaticali: si parla di dialetto.
Siccome un dialetto è associato ad una particolare area geografica prende il nome di geoletto (variazione diatopica: mutamento della lingua attraverso lo spazio fisico, geografico). Quando un dialetto è associato ad una certa classe sociale o ad un gruppo di pari, viene denominato socioletto (variazione diastratica: forme “alte” o “basse” di una lingua in relazione allo status economico, culturale e professionale dei parlanti, ma anche sottocodici, linguaggi speciali).
Vi sono, inoltre, la variazione diamesica (in relazione al mezzo usato per la comunicazione) e la variazione diacronica (mutamento della lingua attraverso il tempo).

A fianco dell’esigenza di riflettere le situazioni e le identità locali e, quindi, la diversità, vi è anche l’esigenza della comprensibilità reciproca, e ciò favorisce la standardizzazione: per questo si impara la forma standard della lingua, lo Standard English, cioè una varietà di lingua sostenuta istituzionalmente.
Per uno standard sono caratteristiche irrinunciabili:
  • l’elaborazione: la capacità di produrre testi astratti su argomenti diversi (Ferguson, 1962);
  • la codificazione: l’esistenza di un corpus riconosciuto di testi e norme di riferimento, nonché l’adozione di un’ortografia unificata;
  • l’estensione: come veicolo di comunicazione tra gruppi che parlano varietà diverse;
  • il prestigio.


I modelli di riferimento linguistico che storicamente hanno prevalso sono stati lo Standard British English (SBE) e il General American (GenAm). Emerge, però, una nuova varietà di riferimento internazionale, un modello di English as a Foreign Language che mescola caratteristiche sia dello SBE che del GenAm (Karstadt, 2002), definito MID-ATLANTIC ENGLISH.
Un altro modello di riferimento internazionale che si sta diffondendo sempre più, soprattutto in Europa, che è simile al Mid-Atlantic English, è l’EURO-ENGLISH. Si tratta, dunque, di un processo endonormativo di sviluppo (Jenkins, Modiano, Seidlhofer, 2002) che permette anche ai membri del cerchio di espansione di accedere ad un potere di regolazione delle strutture che in passato era loro precluso. Questo fenomeno comporta uno sforzo di adattamento anche da parte degli stessi parlanti nativi che si ritrovano a dover “re-imparare” la loro stessa lingua per renderla comprensibile ai non nativi.
Nel 1928 il linguista Charles Kay Ogden ideò il BASIC English, una pianificazione linguistica dell’inglese standard, utile nella comunicazione internazionale. Dopo qualche anno il tentativo fu, tuttavia, abbandonato. Negli anni ’80, invece, Jean-paul Nerrière ideò il Globish (global+english), basato su un vocabolario di 1.500 parole, uno strumento per mettere chi non conosce l’inglese nella condizione di poter comunicare.




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